Sono una mamma portatrice, chi mi conosce sa di cosa sto parlando, per tutti gli altri racconto la storia dall’inizio.

Quando sono rimasta incinta non sapevo niente di niente, di educazione, di maternage, di pannolini, non me ne ero mai curata, non ero mamma prima di diventare mamma, un figlio se arriva arriva era la mia posizione in merito, e se arriva penserò a quello che serve.

Avevo sentito parlare di fasce e portare in fascia da una amica poco prima di rimanere incinta, restando affascinata dall’immagine di tenere a stretto contatto il neonato, avere le mani libere ed i cuori vicini.

Rimango incinta e decido di approfondire, mi iscrivo a gruppi facebook e leggo un po’ di qua e un po’ di là, su internet ma anche su quello splendido libro che è Portare i piccoli di Esther Weber; infine compro una fascia usata, scegliendola perché dalle recensioni sapevo che la marca era buona e i colori mi piacevano assai. Come mi piaceva assai sfogliare gli album di fasce usate, ma questa è un’altra storia…

La mia amica mi insegna la legatura per neonati, guardo qualche tutorial e mi illudo che sia facile. La ripongo nell’armadio in attesa della bimba. Nasce la creatura e vicissitudini varie mi portano ad aspettare un mese prima di tirare fuori la fascia dall’armadio.

La motivazione che mi spinge è il pranzo del matrimonio di mia cugina, a cui decido di partecipare nonostante il mese appena compiuto e i tre chili appena raggiunti da mia figlia. Ricordavo bene le indicazioni della pediatra alle dimissioni: signora stia lontana dai posti affollati. E per me quel pranzo era un posto affollato.

Un posto pieno di ottime e care persone, per carità, ma che con buona probabilità avrebbero allungato le mani, perché, diciamocelo, prendere in braccio un neonato è un privilegio, visto l’esiguo numero di bambini in circolazione. E poi il figlio di un parente è un parente e ciò autorizza la violazione della norma igienica basilare in fatto di neonati, tanto più se prematuri: il bambino appena nato lo toccano solo la madre e il padre. E’ scritto nel codice genetico dei mammiferi, provate ad avvicinarvi ad un cucciolo di qualsiasi mammifero e osservate la reazione, a meno che non sia un vostro animale domestico rischiate di essere aggrediti dalla madre.

E io sono un mammifero, anche se più evoluto, e dunque sono andata al pranzo di matrimonio con mia figlia in fascia.

Quello fu l’inizio e posso dire che ancora la parola fine al nostro portare dopo tre anni non è stata ancora scritta.

Mia figlia dopo uscita dall’ospedale pretese l’alto contatto: non stava nella culla, se non quando dormiva, altrimenti urlava per stare in braccio, e noi ce la passavamo tipo testimone, pesava meno di tre chili, facevamo tutto con un braccio, una mano, e lei nell’altro.

Per fortuna io nella teoria sapevo cosa voleva dire alto contatto, cioè quel tipo di accudimento per cui il bambino viene tenuto addosso, in braccio, in fascia, per molte ore al giorno, non scambiai quindi quelle urla per capricci; per fortuna avevo una fascia e avevo il coraggio di usarla. Perché altrimenti mi sarei esaurita. La teoria è una cosa, la pratica prevede tutto un altro genere di fatica che la teoria tralascia.

Metterla in fascia le prime volte non è stata una passeggiata di salute, ero piena di ansia, i miei movimenti non erano fluidi, avevo paura di farle male, e lei sentendo tutto questo le prime volte aveva pianto. Ma una volta in posizione e iniziato a camminare crollava. Col senno di poi riconosco in ogni dettaglio tutti gli errori commessi; per questo consiglio una consulenza o quantomeno di farsi aiutare da un genitore esperto. Esistono poi bimbi, pochi, che non gradiscono, ma io invito calorosamente i genitori a non desistere, a tentare e ritentare, cambiando momenti della giornata, camminando e restando calmi, e soprattutto fare una consulenza.

Cosa ha rappresentato il portare in fascia per me.

E’ stato in prima battuta colmare la distanza creata dal mancato allattamento, creando un rapporto fisico che era stato gravemente minato dalle pratiche e i protocolli ospedalieri.

E’ stato un modo per affrontare tutte quelle incombenze di natura pratica che il gestire una casa ti presenta quotidianamente, un modo per prendermi cura di una, la figlia e dell’altra, la casa, contemporaneamente, con le mani libere ma la bambina accanto.

E’ stato poter andare a spasso più facilmente, senza trascinarmi chili e chili di passeggino su marciapiedi dissestati, sporchi o assenti, che con il taglio cesareo peraltro non avrei dovuto certo sollevare.

E infine poterla calmare e addormentare facilmente. In assenza di tetta ho usato la fascia: l’ho addormentata in fascia per due anni, perché la fascia contiene e i bambini crollano.

Per il resto mia figlia ha continuato a voler stare perennemente in braccio per più di un anno e anche dopo aver iniziato a camminare; la fascia mi ha permesso di soddisfare più agevolmente questo suo bisogno, che altrimenti si sarebbe peraltro espresso in urla devastanti. Bisogno che, continuo a ripetere, era in lei prima che la portassi in fascia, e non è stato l’uso della fascia a indurre.

Così come la fascia non le ha impedito di iniziare a camminare, a correre, ad essere indipendente, a “staccarsi”. Il passeggino lo abbiamo usato quando ci veniva comodo, spesso la bimba però ha preferito il contatto della fascia, passando poi direttamente alla fase in cui il passeggino era un gioco, dove stare in piedi, saltare o scendere e spingere lei, cosa che rallentava non di poco la passeggiata divenendo quindi piuttosto scomodo.

La fase in cui ha cominciato a camminare per conto suo è arrivata piuttosto precocemente e la fascia si è rivelata, ancora una volta, la soluzione adatta a noi, più pratica da portarsi dietro rispetto al passeggino: ancora oggi quando capita che si stanchi di camminare o abbia dei momenti in cui emotivamente ha bisogno di stare in braccio, io tiro fuori il magico pezzo di stoffa e risolvo. Momenti sempre più rari, perché mia figlia è una grande camminatrice, ma anche se per brevi tratti la mia schiena e le mie braccia ringraziano; è vero che ora è più pesante da portare però la posizione è più ergonomica rispetto al prenderla in braccio, il peso meglio distribuito quando sta sulla mia schiena come uno zainetto; sia per me che per lei è più comodo insomma. E poi è la nostra maniera di stare vicine, lei quando ne ha bisogno me lo chiede. Noi ci siamo trovati bene così, soprattutto rispetto al carattere di mia figlia, ma ognuno trova il suo percorso naturalmente, non ci sono ricette pronte e valide per tutti.

Continua

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Aline Nowé è nata a Cagliari nel 1973 da papà belga e mamma sarda, è laureata in Ingegneria Elettrica, con master in Project Management nelle Costruzioni, e ha lavorato come ingegnere fino al 2014, anno in cui è diventata mamma. Da allora si dedica con passione alla realizzazione di un prototipo di dispositivo interamente biodegradabile, atto alla trasformazione di materiali compostabili in biocarburante (altrimenti noto come Figlia) e a progettare servizi utili per i neo genitori. E’ cofondatrice dell’Associazione Pannolini Lavabili Sardegna.
Co-fondatrice de Il Club dei Genitori, segue le rubriche Pannolini Lavabili, Una mamma portatrice, Cine Club e L’insostenibile leggerezza di una mamma.