Quattro nascite, quattro bambini, ai quattro angoli del mondo; quattro contesti familiari, sociali e culturali agli antipodi, in ogni senso,questo in sintesi ci mostra il documentario francese Babies del 2006, di Thomas Balmés, seguendo per un anno la vita di Ponijao in Namibia, Bayar in Mongolia, Mari a Tokyo e Hattie a San Francisco.

Come è crescere dall’altra parte del mondo, in mezzo alla steppa, tra i grattacieli, in una capanna? Alla fine del film mi viene da dire che crescere non è molto diverso: c’è il nutrimento, il contatto materno, l’incontro-scontro con i simili, la comunità, gli animali domestici sempre presenti, le varie scoperte, e alla fine dell’anno immancabilmente ci si alza in piedi. Tutto sommato il mondo visto ad altezza bambino non è poi così diverso.

Altra cosa sono gli occhi dell’adulto, che vedrà distanze siderali tra i modi di accudire, di vivere, di lavorare, cose da adulto, appunto. Ma è proprio questo il punto interessante, valutare la diversità delle abitudini, delle strategie adottate, ma anche i numerosi punti in comune, dati dal fatto che, banalmente, sono cuccioli della stessa specie, e al variare delle latitudini compiono il medesimo percorso di crescita.

Da vedere oltre che per la tenerezza che suscitano queste creature, soprattutto per aprire la mente e togliersi dalla testa definitivamente quel presupposto di superiorità e di ortodossia, insito nella nostra cultura, così in balìa delle mode del momento anche per quanto riguarda la crescita dei figli. Per non dire e non pensare più “poverino” del bambino che vediamo accudito in maniera lievemente diversa da quanto ci viene prescritto in “occidente” (spesso a fini puramente commerciali, peraltro).

Il film dura un’ora e venti minuti circa, è fondamentalmente privo di dialoghi, perché sono i bambini i veri protagonisti, e la macchina da presa li mette davvero al centro della narrazione, sottolineando il loro parallelo percorso di crescita, facendoci sorridere delle loro scoperte e dei loro piccoli inciampi.

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Aline Nowé è nata a Cagliari nel 1973 da papà belga e mamma sarda, è laureata in Ingegneria Elettrica, con master in Project Management nelle Costruzioni, e ha lavorato come ingegnere fino al 2014, anno in cui è diventata mamma. Da allora si dedica con passione alla realizzazione di un prototipo di dispositivo interamente biodegradabile, atto alla trasformazione di materiali compostabili in biocarburante (altrimenti noto come Figlia) e a progettare servizi utili per i neo genitori. E’ cofondatrice dell’Associazione Pannolini Lavabili Sardegna.
Co-fondatrice de Il Club dei Genitori, segue le rubriche Pannolini Lavabili, Una mamma portatrice, Cine Club e L’insostenibile leggerezza di una mamma.