O meglio quali e quanti stereotipi aspettarsi sulla gravidanza, la maternità e la paternità da una recente commedia americana.

Che cosa aspettarsi quando si aspetta è un film USA del 2012, diretto da Kirk Jones, è un adattamento dell’omonima guida scritta nel 2010 da Heidi Murkoff e Sharon Mazel, diventata best seller, ed è un simpatico catalogo di luoghi comuni sull’avere un figlio: cinque coppie, cinque storie, cinque gravidanze, per raccontare quel momento della vita in cui ci si moltiplica e si diventa una famiglia, possibilmente ridendoci sopra.
Le cinque famiglie sono naturalmente tutte molto diverse, dalla coppia sposata al rapporto occasionale, i super fertili, quelli che cercano da tempo, quelli che non cercano affatto e chi ha scelto di adottare; ci sono i ricchi, i famosi, i signor nessuno e chi fa i sacrifici. Naturalmente sono tutti molto patinati e pettinati nonché interpretati da star di Hollywood quasi tutte bellocce. Il primo intento è quello di rappresentare uno spaccato della società, dove chiunque si può riconoscere e ridere dei propri difetti; il secondo naturalmente fare incasso al botteghino, perciò è tutto spiegato, banalizzato, superficiale, è tutto chiaramente leggibile e ovviamente esagerato, manca una qualsivoglia introspezione. In pratica ti prendono per mano e ti dicono ok qui ridi, ok qui piangi.

Quello che però indigna maggiormente è il catalogo di stereotipi che ancora nel 2012 tiene banco, riuscendo peraltro a portare le persone al cinema: il film ha infatti incassato nelle prime due settimane di programmazione 1,2 milioni di euro, di cui 502 mila euro solo nel primo weekend.
Ed è per sfatare alcuni falsi miti cinematografici, sempre gli stessi da decenni, che ho deciso di stilare una piccola classifica dei principali luoghi comuni presenti nella pellicola:

1) La corsa in auto verso l’ospedale al principio del travaglio: ogni volta la stessa storia, arriva la prima contrazione o si rompono le acque ed è subito panico; l’evento è narrato come improvviso, che desta sorpresa, come se una non sapesse di essere incinta o non avesse contato le settimane. Segue urlo disperato di lei, piegata in due, allora l’uomo la carica in macchina di peso e si lancia in una corsa automobilistica di stampo rallystico per portare la partoriente all’ospedale. La quale nella vita reale poi darebbe alla luce la sua creatura anche 12-24 ore dopo, nei film invece si partorisce sempre dopo essere arrivati in ospedale appena in tempo. Ma questo lo sai se hai partorito, se no resti vittima di questa immagine raccapricciante di pericolo imminente e magari decidi di non avere figli. O di sposarti un pilota di rally, per sicurezza.

2) L’epidurale: tutte coraggiose i primi cinque minuti, rifiutano l’analgesia come se fosse opera del demonio o come se ledesse la presupposta naturalità del parto; dopo un’ora capitolazione e richiesta dell’epidurale, i precedenti buoni propositi sconfitti dal dolore. La donna quindi non sa sopportare il dolore, neanche per il bene del bambino, viene ritratta urlante, senza un minimo di ritegno, l’immagine che ne viene fuori è quella della debolezza. Argh!

3) Il concepimento da ubriachi: un grandissimo classico è raccontare la donna presa dall’ansia del concepimento, che misura con precisione maniacale il suo periodo fertile, conosce le posizioni più efficaci, si sottopone a qualsivoglia cura ormonale e a svariati riti propiziatori, costringe il compagno a rapporti privi di sensualità ogniqualvolta suona l’allarme del suo computerino che segnala l’imminente ovulazione, e regolarmente non resta incinta. Fino a che, persa ogni speranza, si rilassa, si ubriaca, tromba come una diciottenne in mezzo al prato e, miracolo, dopo un mese la lineetta del test è fuxia. Perché l’infertilità è sempre un problema della donna, che è ansiosa, capito? Che è troppo presa dal suo lavoro, dalla sua carriera, e pretende di programmare un figlio come se fosse il risultato di un foglio di calcolo. Invece quando si rilassa, fa la diciottenne disinibita e porcacciona taaac! Arriva la cicogna…

4) Gli uomini comandati a bacchetta dalle mogli: io non lo sapevo ma in realtà pare che in America comandino le donne, i mariti ubbidiscono, fanno i padri dove, come e quando gli viene detto e alle 21.30 massimo via dal pub tutti a casa. Dimostrano una grande destrezza e una grande organizzazione nell’occuparsi della prole, perché hanno imparato a eseguire gli ordini impartiti dalle mogli senza protestare o contestare. Sono mammi, meri specchi del modello materno. Si fanno forza tra loro, si sostengono senza giudicarsi, fanno squadra contro il nemico comune, le mogli in carriera. Terrorizzati eppure innamorati e grati alla madre dei loro figli per averli messi al mondo.

5) L’enfatizzazione dei problemi della gravidanza: la gravidanza tratteggiata come una malattia, le caldane, l’acne, il gonfiore, le visite al bagno ogni 5 minuti. Non è proprio così, ecco, a parte le gravidanze patologiche naturalmente.

Se incappate in questo film non cambiate canale, in certi momenti fa pure ridere, qualcosa di geniale c’è, tipo la donna bella, ricca, giovane, super fertile, super in forma durante tutta la gravidanza e che partorisce con uno starnuto. Praticamente Gastone, il cugino fortunato di Paperino: tutte prima o poi nella nostra vita ne abbiamo incontrato uno e ci siamo sentite Paperino. Talmente esagerato che fa davvero ridere.

Ma soprattutto questo film è una occasione per riflettere su come la donna viene ritratta prima e durante la gravidanza e il parto. Sono immagini con le quali senza rendersene conto ci si confronta, dando luogo, a volte, a sentimenti di inadeguatezza. Questo fa molto meno ridere, anzi non fa ridere affatto. Meditate gente, meditate.

(piccola nota personale: i bambini nel marsupio fronte mondo no, vi prego, stanno scomodi, vengono bombardati dagli stimoli esterni, sono appesi per i genitali, con la testa che dondola senza un appoggio e fanno venire il mal di schiena; non lo dico io lo dicono i fisiatri)

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Aline Nowé è nata a Cagliari nel 1973 da papà belga e mamma sarda, è laureata in Ingegneria Elettrica, con master in Project Management nelle Costruzioni, e ha lavorato come ingegnere fino al 2014, anno in cui è diventata mamma. Da allora si dedica con passione alla realizzazione di un prototipo di dispositivo interamente biodegradabile, atto alla trasformazione di materiali compostabili in biocarburante (altrimenti noto come Figlia) e a progettare servizi utili per i neo genitori. E’ cofondatrice dell’Associazione Pannolini Lavabili Sardegna.
Co-fondatrice de Il Club dei Genitori, segue le rubriche Pannolini Lavabili, Una mamma portatrice, Cine Club e L’insostenibile leggerezza di una mamma.