Essere madre è un esperienza tanto comune, quanto di difficile comprensione, la cui complessità e profondità ci sfugge fino a che non iniziamo a camminare concretamente (già dal momento in cui iniziamo a progettarlo) sulla strada che porta alla sua realizzazione, completa, parziale o mancata.
Cambiare paese, decidere di lasciare le certezze che si ha e partire per un altro luogo, acquisendo uno status sociale molto diverso da quello di origine (quello di straniero…) è altrettanto un’esperienza profonda, articolata e complicata, la cui portata è in realtà sconosciuta e di difficile comprensione per chi resta, ti vede partire e ogni tanto tornare. Questo a volte crea grande frustrazione nei rapporti con le persone che rimangono e non capiscono, non riescono ad immaginarsi il nostro vissuto e i nostri nuovi punti di vista, i nostri bisogni cambiati e le sconosciute difficoltà. È come se si passasse un punto di non ritorno, un cancello oltrepassato il quale, anche se si tornasse indietro, non si potrebbe più essere le stesse persone, vivere e sentire la vita come prima nel bene e nel male.
E cosa vuol dire essere madri in un paese con lingua, cultura e paesaggi diversi da quelli che hai integrato da sempre nella tua identità di persona e donna? Un punto interrogativo non basta.
Questo è quello che cercherò di raccontarvi, in un percorso in più puntate in cui seguiremo insieme un gruppo di donne italiane che vivono a Berlino e che qui si confrontano con l’essere madre in terra straniera.
È un gruppo molto bello, affiatato e solidale. Si sono conosciute agli incontri aperti di gruppo in italiano che organizzo settimanalmente dal 2015 per donne* e madri* a Berlino, frequentati anche da donne* che vengono da altri paesi e parlano altre lingue. Una ricchezza enorme, occasione di scambio, rispecchiamento e accettazione!
Ho parlato loro di questo progetto e hanno lasciato che le accompagnassi e documentassi una giornata tipo da mamme espatriate in Germania. Spero che questa sia per tutti noi la possibilità di immergerci in un nuovo punto di vista e di spingerci un po’ oltre quelle che sono le nostre assodate certezze.
Pronti, partenza, via. No, forse prima ci prendiamo un caffè…
Iniziamo, ovviamente, con un caffè a casa di Maria, io, lei e Filippo, il suo meraviglioso bambino di 14 mesi. È marzo, sono le 10:30 del mattino, fuori splende il sole e siamo piuttosto sottozero. Maria mi prepara un caffè (rigorosamente con la Moka), mentre lo porta sulla schiena: si è da poco separata dal padre del bambino e questo comporta un ulteriore carico nella gestione simultanea di casa, lavoro e figlio. Mentre beviamo il caffè lei siede sulla palla da Pilates e saltellando, chiacchierando, bevendo il caffè, Filippo ancora sulla schiena si addormenta. Questa è una tecnica ormai assodata che permette a lei di cucinare, sistemare casa, mangiare tranquilla, e a Filippo di addormentarsi serenamente a contatto con la sua mamma. Quando si dice fare di necessità virtù!

Muoversi a Berlino tra marsupio e passeggino
Il nostro appuntamento è di lì a mezz’ora con le “colleghe di vita” in un altro quartiere della città. Sono da casa sua circa 3,5 chilometri e una mezz’oretta di viaggio coi mezzi pubblici. Mi racconta che esce tutti i giorni col bambino per fare qualcosa indipendentemente dalle temperature e dal tempo atmosferico “…altrimenti è un inferno in casa!”, stando nel loro quartiere o spostandosi anche più lontano a piedi e coi mezzi evitando giusto di fare molti cambi; l’auto la usano pochissimo perché Filippo non ci va volentieri, piange tantissimo e la prendono solo se lui è malaticcio. Oggi andremo in giro col passeggino, ma il marsupio non manca perché è ancora indispensabile in caso di una crisi di stanchezza del piccolo.
Ci avviamo in direzione del treno che ci porterà a Friedrichshain (il nostro quartiere obiettivo) dove poi cammineremo un quarto d’ora fino al Cafè scelto da una delle mamme che abita in quella zona. Maria viene da Roma e ci racconta di come per loro due muoversi a piedi Berlino sia fluido: poche barriere architettoniche e facilità di accesso ai bus, tram, metro e treni. Le stazioni coi mezzi veloci sono quasi tutte dotate di ascensori (più di 100 su 173 totali e la distanza tra una stazione e l’altra in media è di 500 metri) che però a volte si guastano; in quel caso lei comunque riesce sempre a trovare qualche “anima pia” che si offre di aiutarla a fare le scale col passeggino. Se mancano i volontari ne ferma uno a caso e chiede di farsi aiutare: “Per ora sono stata fortunata e ha sempre funzionato, anche quando ero incinta sui mezzi mi lasciavano sempre il posto a sedere; addirittura i mezzi qui hanno posti speciali riservati alle carrozzine dei disabili e dei bambini, che non devono sempre essere chiusi”. Ogni vagone di treno o metro e ogni bus/ tram qui a Berlino hanno a disposizione dai 3 agli 8 posti appositi per questo tipo di ausili e sia i genitori con passeggini che le persone che si muovono su una sedia a rotelle sono Mitfahrer (coviaggiatori) abituali.
E a Roma? “A Roma dovrebbe essere meglio di com’è… sotto casa mia il marciapiede è tutto rotto e nelle metro non ci sono gli ascensori, ma io mi muovo lo stesso col passeggino. L’ultima volta che sono scesa in Italia per andare a trovare un’amica ho preso la metro e ho chiesto agli operatori se ci fosse un ascensore o una rampa… sì c’era, ma si poteva usare solo per le persone disabili… quindi mi sono fatta aiutare. La gente era basita nel vedere qualcuno che prendeva la metro con il passeggino!”
Noi intanto siamo arrivate e scopriamo che l’ascensore… funziona!
Il treno è puntuale (tanto ne passa uno ogni 4 minuti) e poco affollato, e in breve raggiungiamo la stazione di Frankfurter Allee dove scendiamo per dirigerci poi a piedi verso Boxhagener Platz. Nel frattempo Maria espone il suo pensiero circa le difficoltà che ha vissuto o ha osservato in connazionali qui in Germania nell’adattarsi a certi strumenti che sono qui presenti.
“Non tutti gli italiani si fidano o hanno l’intraprendenza ad andare ad uno di questi spazi aperti, sociali, condivisi… (come appunto Lo Spazio delle Mamme o altre occasioni di incontro organizzate) forse perché lo stato sociale da noi è andato sparendo e non siamo più abituati. Qui esistono spazi comuni e condivisi, condotti e/o autogestiti, Familienzentrum e Kindercafè (ve ne parlerò più avanti). Lo stesso fasciatoio a disposizione dei clienti nelle drogherie, io lo uso sempre e se mi capita anche in giro nei ristoranti e nei caffè e li trovo puliti, metto sempre il mio teletto personale sopra e via! Conosco persone che non ne fanno uso perché gli fa impressione essendo pubblico”.
E dato che stiamo proprio in quel momento passando davanti ad una di queste drogherie, vi portiamo a vedere questo paradiso del genitore on the road…”
Accesso gratuito, completamente attrezzato, con telo usa e getta, pannolini di ogni taglia, salviette, bustine per chiudere il puzzolente pannolino, pattume e gel disinfettante.
Maria: “E così a volte noi italiani non ci fidiamo… abbiamo la fissa dell’igiene… sarà pulito…? Chissà chi l’ha usato prima di noi…”
Silvia: “Un po’ come in piscina, loro sempre scalzi e noi sempre con le ciabatte!”
Maria: “E io li guardo e penso -ma non ti vengono i funghi???-“
Silvia: “O come in sauna! Loro tutti nudi e tutti insieme! Ma poi alla sauna ti ci abitui, un asciugamano sotto il sedere e passa la paura!”
Siamo quasi arrivate al luogo nel nostro appuntamento e dall’altra parte della strada ecco un’altra mamma. Non ci sono semafori, non ci sono auto, e noi con fare circospetto attraversiamo la strada all’italiana!
Qui in Germania, si attraversa solo nei passaggi pedonali e se il semaforo segna verde… Attraversare col rosso, anche se di auto non se ne vedono per chilometri, non solo comporterebbe una multa, ma è soprattutto socialmente disdicevole, ancor di più se presenti al fattaccio ci sono dei bambini che potrebbero apprendere ed imitare il gesto. Da subito all’asilo i bambini vengono portati in giro quotidianamente e si insegna loro come comportarsi in sicurezza in città.
Raggiungiamo Martina e Vittoria, che sono quasi in partenza per il Portogallo dove passeranno un mese anche con il papà, grazie al congedo parentale congiunto per madri* e padri*… di li a poco partiranno per un altro mese di vacanza in Italia. E tutto questo senza paura di perdere il posto di lavoro o di ritorsioni da parte di capi e colleghi.
… to be continued…

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Silvia Bonapace è nata a Bologna nel 1983, è laureata in Psicologia ed è educatrice perinatale in formazione. Vive a Berlino col compagno e i figli dal 2013. In Italia ha collaborato con l’Università di Bologna in progetti di ricerca su benessere, disagio perinatale e maternità transculturale. Attualmente in Germania lavora con la comunità italiana, migrante e tedesca, occupandosi di sostegno psicologico, promozione della salute, empowerment nella genitorialità e nel percorso nascita. É socia fondatrice dell’associazione Salutare per la salute mentale degli italiani in Germania.
Segue la rubrica Genitori FuoriSede.