Come sapete (o non sapete se è la prima volta che mi leggete) vivo in Germania, Berlino per la precisione, da 4 anni.

Come forse immaginate, lotto e mi impegno quotidianamente nel tentare di apprendere questa meravigliosa e complicata lingua che è il tedesco.

Lev Semjonowitsch Vygotski, psicologo russo di inizio Novecento che chiameremo amichevolemente e semplicemente Lev, sosteneva che la lingua e la cultura si influenzassero vicendevolmente: il linguaggio sarebbe lo strumento con cui un popolo rappresenta se stesso, il mezzo di espressione di una cultura, la quale fornisce a sua volta la struttura su cui può nascere e svilupparsi la lingua stessa. Secondo Lev inoltre, il linguaggio precede e fornisce la struttura per il pensiero…  anche se a me piace pensare che linguaggio e pensiero si trovino in reciproco equilibrio, proprio come linguaggio e cultura.

Sono una fan della par condicio e dell’interazione reciproca tra natura e cultura, genetica e ambiente e considerando che la mente è quindi in parte un prodotto del contesto e delle pratiche sociali e culturali, si può fantasticare più o meno scientificamente su come la lingua madre, quindi quella appresa nella quotidianità in età precoce, possa strutturare la forma mentis delle persone che condividono una certa lingua.

Forse vi starete chiedendo da che parte vi sto portando oggi.

Effettivamente l’ho presa un po’ alla larga ma questa introduzione era per me necessaria, in quanto una delle cose che più mi colpiscono della lingua tedesca è la sua grande efficacia e creatività. Qui in Germania sono capaci di inventare parole uniche per spiegare concetti sottili o ampissimi, usano parole diverse per definire le varie sfumature di senso con estrema precisione. Spesso utilizzano concetti che non si riescono a tradurre nelle altre lingue e specialmente in italiano, se non con lunghi giri di parole.

Nel tedesco ho incontrato parole sconosciute, favolose e lunghissime, più complicate di un supercalifragilistichespiralidoso detto al contrario ma che mi hanno incredibilmente facilitato la vita qui in Germania e donato concetti preziosi che ho fatto miei e integrato nel mio modo di vivere. Un esempio è il Feierabend*, parola a cui noi expat italiani in Germania siamo tutti molto grati dato che proveniamo da una cultura in cui il lavoro ha la priorità su ogni aspetto della nostra vita, tanto da farci sopportare compromessi e condizioni poco sane pur di tenercelo stretto.

https://ausberlin.wordpress.com/2013/05/12/parola-del-giorno-feierabend/

Nel mio lavoro con donne e genitori lungo il percorso nascita ho fatto la conoscenza di termini nuovi e importanti e con una cultura che restituiva un po’ di legittimità e complessità all’esperienza materna e paterna con tutte le sue gioie e dolori.

Tra queste nuove parole provo anche a cogliere le segrete sfumature di quella cultura genitoriale apparentemente più serena e rilassata che tanto mi ha colpito al mio arrivo qui in Germania.

E così un giorno, mentre con un gruppo di neomamme si parlava di come era andata la settimana, è apparsa una nuova parola magica: la Stilldemenz, che letteralmente tradotta in italiano significa “demenza da allattamento” spesso affiancata dalla Schwangerdemenz, nientemeno che la demenza da gravidanza.

Ovviamente non si tratta di una malattia, ne’ di una sindrome che prevede l’insorgere di disturbi della memoria in epoca perinatale, ma di una percezione soggettiva ampiamente diffusa tra le donne in attesa e le neomamme di cui si parla molto apertamente e serenamente, perlomeno qui in Germania.

L’epoca della maternità è accompagnata da un complesso adattamento comportamentale, corporeo, neuroendocrino, metabolico ed emotivo. Già in gravidanza si inizia a percepire un rallentamento delle funzioni psicofisiche: a volte come grande stanchezza, altre volte è la fatica a fare cose che prima erano automatiche e a concentrarsi, oppure con la nascita del bambino, complice anche il ritmo del sonno alterato, capita di passare ore a cercare le chiavi che magari sono proprio sotto al naso o magari finite in frigorifero nel cassetto delle verdure, o di dimenticarsi importanti appuntamenti fissati da settimane.

Aspettare, partorire e poi accudire e crescere un bambino è un compito arduo ed enormemente impegnativo, che richiede moltissima energia e capacità emotive, cognitive e organizzative; la natura, che non lascia mai nulla al caso, ha messo a punto un complicato ma efficace stravolgimento ormonale finalizzato a sostenere la madre fisicamente ed affettivamente nell’adattamento al nuovo ruolo.

Prepararsi all’arrivo di un bambino significa fermarsi e iniziare a fargli spazio, nella pancia ma anche nella mente e nel cuore, nella nostra vita di coppia e familiare. Se questo lavoro fosse lasciato allo sforzo consapevole di volontà della gestante richiederebbe un dispendio energetico anche maggiore e una variabilità di risultati infinita.

Trattandosi di sopravvivenza della specie è ricorsa invece a dei trucchi per garantire i migliori effetti possibili: le ondate ormonali (a volte veri tsunami) di estrogeni, ossitocina, progesterone e poi prolattina ed endorfine (e non finiscono certo qui) permettono ai tessuti muscoloscheletrici di allentarsi e al corpo di adattarsi senza comprimere il bambino che cresce nel ventre materno. Stimolano inoltre la sensibilità della donna e la rendono più acuta proprio per sintonizzarsi con quella intensa e primordiale del proprio neonato; gli stessi adattamenti emotivi portano la futura madre a percepire con intensità l’ambivalenza che accompagna il diventare responsabile della vita e del benessere di un altro individuo, ambivalenza necessaria anche ad un sano sviluppo verso l’autonomia del bambino e verso la ritmicità della vita.

Negli ultimi anni è cresciuto il numero degli studi che esplorano come l’esperienza della maternità produca modificazioni a livello del sistema nervoso sia nei piccoli mammiferi che nella specie umana. Si tratta di cambiamenti di grande portata in grado di modificare definitivamente la struttura e il funzionamento di aree del cervello coinvolte nelle relazioni sociali, nei comportamenti di accudimento e negli stati affettivi. Il focus della donna si sposta su altro, su sé stessa e soprattutto sul bambino che sta per arrivare e che necessiterà della sua premurosa presenza per sopravvivere. Tutto quello che è stato fino a quel momento in cima alla lista delle priorità tende a slittare verso il basso e a trovare una nuova collocazione in accordo con le richieste della società e con l’equilibrio tra identità sociale e identità biologica della donna madre.

I meccanismi di adattamento della gravidanza rafforzano e sviluppano determinate competenze a discapito di altre meno rilevanti per la continuazione della specie. Negli studi che valutano i cambiamenti nella memoria in gravidanza e nel postpartum è emerso infatti che la minore efficienza delle prestazioni di memoria è selettiva e colpisce funzioni coinvolte in attività di ragionamento più complesse, molto valorizzate nella cultura dell’efficienza e del multitasking, ma non così significative nella cura di un bambino.

Queste competenze cognitive e mnemoniche sono state penalizzate per lasciare spazio a quelle empatiche, emotive e relazionali, necessarie ad entrare in contatto con il bambino, coi suoi bisogni per poterli soddisfare adeguatamente garantendogli uno sviluppo sano ed equilibrato.

Pazienza se nel frattempo dimentichiamo l’arrosto nel forno e non paghiamo le bollette.

Se vi sembra di non riuscire a far fronte a tutte le cose che la famiglia, il luogo di lavoro, la società (o voi stesse) si aspettano da voi e il vostro corpo e la vostra smemoratezza ve lo dicono piuttosto chiaramente, forse è il caso di ascoltare questa vostra parte sana e mammifera che chiede di sfoltire, dare nuove priorità e DELEGARE.

Bibliografia

  • Holschbach M.A. e Lonstein J.S. (2017), Motherhood and infant contact regulate neuroplasticity in the serotonergic midbrain dorsal raphe. Psychoneuroendocrinology, (76):97-106.
  • Udvari E.B et al (2017), Synaptic proteome changes in the hypothalamus of mother rats. Journal of Proteomics, in press, Available online 9 March 2017.
  • Kim S. e Strathearn L.(2016) Oxytocin and Maternal Brain Plasticity. New Direction for Children and Adolescent Development, (153):59-72.
  • Henry J.D. e Rendell P.G. (2007) A review of the impact of pregnancy on memory function. Journal of Clinical and Experimental Neuropsychology, 29(8):793-803.
  • Gedächtnisstörungen in der Schwangerschaft – Wikipedia die freie Enziklopädie https://de.wikipedia.org/wiki/Ged%C3%A4chtnisst%C3%B6rungen_in_der_Schwangerschaft (ultima consultazione 10.04.2017)
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Silvia Bonapace è nata a Bologna nel 1983, è laureata in Psicologia ed è educatrice perinatale in formazione. Vive a Berlino col compagno e i figli dal 2013. In Italia ha collaborato con l’Università di Bologna in progetti di ricerca su benessere, disagio perinatale e maternità transculturale. Attualmente in Germania lavora con la comunità italiana, migrante e tedesca, occupandosi di sostegno psicologico, promozione della salute, empowerment nella genitorialità e nel percorso nascita. É socia fondatrice dell’associazione Salutare per la salute mentale degli italiani in Germania.
Segue la rubrica Genitori FuoriSede.