Settimane fa ho assistito ad un interessantissimo dibattito sulla genitorialità ospitato ad un film-festival berlinese. La discussione avveniva tra operatori e attivisti del settore che si sono confrontati sulle esperienze e le sfide incontrate nel conciliare le loro scelte professionali e di vita con il ruolo di genitore.

Il festival in questione era il Pornfilmfestival Berlin e i dibattenti erano esponenti della realtà queer* e sex positive* berlinese e internazionale. Erano danzatori, coreografi, attori, registi, prostitute (in Germania professione legalizzata e regolamentata per cui si pagano le tasse), transessuali*, performers e ovviamente madri e padri.

Esiste tutto un mondo che da alcuni anni sto scoprendo attraverso amici e colleghi berlinesi con cui condivido progetti professionali e vita quotidiana, che mi ha mostrato come pur considerandomi aperta e rispettosa delle diversità, ci fosse lungo il mio cammino ancora qualche pregiudizio, imbarazzo e incomprensione di cui sbarazzarmi, probabile eredità di un retaggio culturale che attorno ai temi dell’identità e dei gusti sessuali nutre ancora tabù e ignoranza.

Questo movimento sociale si basa su pochi e chiari concetti: la sessualità è non solo un atto, ma soprattutto un modo gioioso di essere e vivere se stessi e gli altri con piacere, con consapevolezza, assenza di giudizio morale, rispetto e dove il consenso e la sicurezza giocano un ruolo cardine.

É implicato un profondo e lungo lavoro personale ed educativo che attraverso la sperimentazione, l’esplorazione e il rispetto dei propri limiti porta a conoscersi e accettarsi globalmente oltre che a svincolarsi dalla visione culturale e sociale che immancabilmente condiziona la nostra attitudine alla sensualità e sessualità.

Da tempo ormai la comunità scientifica internazionale si è espressa sul fatto che l’orientamento sessuale e la costellazione genitoriale non incidano sulla felicità e sul benessere dei figli e qui in Germania non è nemmeno più argomento di dibattito. L’adeguatezza delle risposte genitoriali ai bisogni fisici ed emotivi dei figli, condizione che garantisce il sano ed equilibrato sviluppo dei bambini, non ha a che fare con l’orientamento sessuale dei genitori o la costellazione familiare in cui essi vivono.

In questo caso quindi vi racconterò di come queste persone, tramite l’esplorazione consapevole della propria sessualità abbiano sviluppato strumenti chiari e coerenti per affrontare alcune tematiche educative che impegna noi genitori del duemila.

Il consenso spiegato ai bambini

Partiamo dal consenso: ossia, chiedo il permesso!

Nella sessualità consapevole tutto è permesso, ma nulla deve per forza accadere.

Si può andare oltre, osare e sperimentare in una sacco di modi tutti giusti, ma quando si raggiunge il proprio limite, inteso come confine oltre cui non desideriamo al momento spingerci, si può dire “no”, senza la paura di essere giudicati e con la certezza che l’altro accetterà il nostro “stop” accogliendolo.

Credo che il concetto del consenso sia una grande risorsa pedagogica. È molto più semplice insegnare ai nostri figli a chiedere all’altro se desidera essere trattato, toccato in un certo modo piuttosto che una serie di regole (non si fa casino al ristorante, non si picchiano gli altri bimbi, non si risponde male alla nonna, non si alza la gonna alla tua compagna) perché se capiscono che ciò che sta sotto a questo comportamento è la lesione della libertà dell’altro avranno un concetto unico, chiaro e fondamentale che li guiderà per tutta la vita.

Puoi fare o non fare qualcosa a qualcuno solo se quel qualcuno è d’accordo, non perché sia giusto o sbagliato a priori.

O meglio, quel che è sbagliato, è agire su qualcuno senza aver ottenuto il suo permesso. All’asilo, al ristorante, in camera da letto e per la strada. E per tutta la vita.

Una di queste madri raccontava come nel quotidiano applicasse il concetto del consenso nelle situazioni di gioco e conflitto tra i propri figli: è d’accordo tua sorella se le spari con la pistola ad acqua? E d’accordo tuo fratello se lo chiami con quel nomignolo?

Si? Ok, allora puoi continuare.

No? Allora rispetta il suo no, indipendentemente dalla sua motivazione e interrompi quel comportamento che sta diventando lesivo nei suoi confronti.

Non posso fare a meno di chiedermi quali potrebbero essere le implicazioni di questo modello educativo per gli adulti di domani.

Se insegniamo ai bambini oggi il riconoscimento dei propri desideri, l’esternazione delle proprie volontà, il rispetto dato e ricevuto dei limiti espressi attraverso i “si” e i “no”, sapranno domani da adulti accettare i “no” e tollerare la frustrazione che ne deriva?

Giusto per ricollegarsi all’attuale tema dello stalking e della violenza di genere, che spesso viene giustificata nell’opinione pubblica dall’esercizio di un possesso sull’altro o da presunti comportamenti provocanti di chi poi subisce violenza.

E se insegniamo ai nostri figli in casa che superare il limite espresso dall’altro è già una forma di violenza, sapranno fuori nel mondo riconoscerla, combatterla, evitarla, denunciarla, difendersi?

Nutro forti speranze che possa essere davvero così.

Insegniamo molto spesso ai nostri figli ad essere più accondiscendenti col mondo che con loro stessi in nome della buona educazione. Devono essere gentili con gli altri, dare la mano al compagno che non piace, dare il bacio alle zie e ai nonni anche se non ne hanno voglia perché pensiamo sia educato e che il loro desiderio di farlo o non farlo sia meno importante, e si trasmette l’idea che il “no” sia sbagliato, abbia un’accezione negativa e che possa ferire l’altro. Il rischio è che in nome della buona educazione si perda la fiducia e la capacità di esprimere il proprio “no” agli altri, il dissenso come legittimazione e protezione dei propri confini.

Ormai sappiamo che l’uomo nero non esiste e che la stragrande maggioranza degli abusi e delle violenze proviene da persone conosciute o addirittura appartenenti alla cerchia più stretta di amici, colleghi e familiari.

Forse ci potrebbe aiutare di più una cultura positiva del “no” che uno spray al peperoncino.

*Piccolo glossario

 Queer: nome e aggettivo usato per descrivere persone o gruppi che per le loro scelte sessuali, di genere e di vita non aderiscono alla norma sociale e che rifiutano le etichette da essa prodotte.

Movimento sex positive: movimento sociale che promuove e considera la sessualità come una attitudine sana e piacevole con pochi limiti e con un’enfasi sul sesso sicuro e l’importanza del consenso.

Transessuale/Transgender: termine usato in maniera molto ampia per descrivere il fatto che per alcuni individui il sesso assegnato loro alla nascita non corrisponda all’identità di genere che sentono o che esprimono. Non si riferisce solo a chi effettua la transizione da un sesso all’altro ma si riferisce ad una vasta gamma di possibili combinazioni di identità di genere.

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Silvia Bonapace è nata a Bologna nel 1983, è laureata in Psicologia ed è educatrice perinatale in formazione. Vive a Berlino col compagno e i figli dal 2013. In Italia ha collaborato con l’Università di Bologna in progetti di ricerca su benessere, disagio perinatale e maternità transculturale. Attualmente in Germania lavora con la comunità italiana, migrante e tedesca, occupandosi di sostegno psicologico, promozione della salute, empowerment nella genitorialità e nel percorso nascita. É socia fondatrice dell’associazione Salutare per la salute mentale degli italiani in Germania.
Segue la rubrica Genitori FuoriSede.