C’è un particolare che ricordo bene quando è nata mia figlia e con grande sgomento di tutti sono diventata mamma. Penso di avere avuto quasi tutto l’albero genealogico della mia famiglia e di quella di mio marito al capezzale della “neonata più bella, buona del mondo”. Così dicevano in loop dalla prozia sopravvissuta alla guerra del ‘15/’18 all’ultima cugina della stirpe.

La gioia e il tripudio, si sa, sono all’ennesima potenza se c’è di mezzo l’arrivo di un bimbo ed è comprensibile che io dal centro di gravità permanente in cui mi sono sollazzata per nove mesi, sentendomi la regina incontrastata di ogni tipo di coccola e attenzione, dopo avere partorito sia di colpo passata al centro archiviazione esseri umani dai contorni sfuocati e dai toni in bianco e nero.

Insomma, non sono più esistita o meglio c’ero ma evidentemente non lo davo a vedere.

La neomamma assieme al pancione perde quell’appeal che da incinta le permette a un solo flebile gemito (magari si tratta di uno sbadiglio uscito male) di far drizzare le orecchie anche a un orso marsicano in pieno letargo.

“Tutto bene?”, “perché non ti riposi?”, “mi raccomando non fare sforzi”.

Poi nasce tuo figlio e diventi come una meteora: all’apice del successo per un po’ e poi piombi a testa in giù nell’oblio più nero.

A conti fatti dalla mia esperienza di “disastro di genitrice” la necessità di creare un servizio di ascolto per la mamma credo sia impellente quanto pensare di riequilibrare il buco dell’ozono.

Trovarsi tra le braccia circa 4 chili di tenerezza, certo, ma anche di pianti inconsolabili, di mimiche facciali incomprensibili e di “nghé”  e “uè” da interpretare porta inevitabilmente a cercare una boa di salvataggio, che mica è facile nuotare nel mare in tempesta.

E se ci sono le boe in ogni mare del globo dunque perché non esistono servizi di ascolto per le mamme? Che l’uragano meteorologico è un bagnetto in un catino a confronto dello tsunami che provoca la venuta di un bebè.

Perché no, dunque, a uno sportello tutto dedicato alla mamma? A lei e solo a lei?! Dove possa finalmente svelare tutta se stessa invece di cambiarsi d’abito in un cabina telefonica e fingersi la nuova eroina del 21 secolo?!

Uno sportello che l’accolga a porte spalancate senza (pre)giudizi, né critiche.

Una mamma alle prime armi nasce con il suo bambino, è insicura e basterebbe davvero poco per farla sentire meglio.

Perché possa capire che dietro le notti in bianco e i ritmi che non sono e non saranno più quelli di una volta può diventare la mamma felice che ha sempre sognato di essere. Dove per “felice” non s’intende il sorriso finto, il photoshop feroce e un’ambientazione “Disneyana” ma uno stato d’animo sincero e equilibrato, forte abbastanza per affrontare i piccoli grandi ostacoli che emergono quando si cresce un bambino. Che possa arrivare la sera stanca ma pienamente soddisfatta della sua giornata fatta di gesti di attenzione per sé stessa e per la propria famiglia.

Alla mamma basterebbe un “ti capisco” per ridarle speranza e non farla sentire inadeguata. Così facendo non strabuzzerebbe di certo gli occhi se la incontri per strada armata di carrozzina e le chiedi: “E tu? Come stai?”

di Deborah Papisca, tratto dal blog Oasidellemamme.it – 12 febbraio 2015 – rubrica Salute e Benessere

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Deborah Papisca è l’autrice di “Di materno avevo solo il latte”, uscito il 10 maggio 2011 con Dalai Editore. Con Enrica Costa, mamma blogger Milanese trapiantata in California, ha creato il blog Oasidellemamme.it dedicato a tutte le mamme del mondo (qui tutta la bio: http://www.oasidellemamme.it/chi-siamo/deborah-papisca/)