La cultura della scelta ha aperto da tempo palcoscenici inediti per la donna, talvolta elettrizzanti grazie alle opportunità che offre e da un lato angoscianti, per via delle sicurezze che comporta. Le infinite possibilità e soluzioni date alla donna odierna non sono sempre prive di costi e sacrifici. L’individuazione femminile ha toccato anche la maternità,  attraverso la ricerca e la sperimentazione: lo stile materno tradizionale, che prevede un’accettazione tout court dei doveri materni (definiti così dalla psicologia) viene messo in discussione. Il profilo della “buona mamma” è soggetto ormai a riflessioni continue, ove le donne si domandano se e a quali condizioni vogliono diventare madri. Allo stesso modo, vengono messi in discussione i cosidetti “miti” sulla maternità.

Andiamo a analizzarne qualcuno…
La “brava mamma” è colei che, per natura, possiede l’istinto materno, e ricopre un ruolo da tempo stereotipato, che appiattisce le differenze individuali. La madre deve essere sempre paziente, attenta ai bisogni altrui ma trascurare i propri, accudente e accogliente, senza mai delegare il suo ruolo di cura ad alcuno/a.

Da qui, un altro mito materno si fa strada. La relazione con il nascituro si fa esclusiva, i padri non sono ammessi in questo rapporto duale fino ai 3 anni di vita del bimbo (“perché fanno solo danni”, si dice .. ). Le madri “s’immedesimano” l’una con l’altra e si adattano alle aspettative sociali altrui, apparendo un po’ noiose e ripetitive (il falso Sè materno). La scelta materna diventa “scontata” perché “naturale”, e non necessita di essere specificata né approfondita. Ciò la delega ad un’immagine ideale, appartenente ad un mondo perfetto.

È naturale volere un figlio, e ciò procurerà alla donna solo gioia e gratificazione, dove le gioie per i successi del pupo saranno caratterizzate dall’ovvietà, cosÌ come è vietato provare sollievo per il suo distacco ed una nuova ritrovata libertà della madre stessa. In realtà oggi, le donne possono scegliere, decidere e persino tentennare rispetto ad una futura maternità. L’ambivalenza, il sentimento che tocca anche le madri, future o meno, crea conflitto ed incertezza, oltre a dare adito ad affetti ed emozioni in contrasto (soddisfazione, entusiasmo, accettazione, rifiuto, indifferenza, noia, paura). L’immagine della madre moderna ha bisogno di un nuovo contesto, fatto di equilibri incerti e di emozioni e culture differenti.

La maternità è un destino che va accolto incondizionatamente e diventa sin da subito un ruolo: “… il bambino è finalmente arrivato …”, “…quando non lo aspettavo più ha fatto capolino …”, frasi tipiche che spesso ci capita di cogliere nelle conversazioni casuali. Cicogna e cavolo sono esponenti di una cultura sessuofobica, che giudica la relazione madre-bambino pura, fissa e non contaminata da alcuna passione erotica. Questo rende la donna un contenitore ricettivo, estraneo all’evento gravidanza, incapace di riflessione critica di ciò che avviene dentro di lei e di ciò che sarà (o potrà essere).

Così come la maternità è fenomeno naturale insieme alle gioie delle quali è portatrice, altrettanto naturale dovrà essere la competenza di accudimento della madre nei confronti del bambino, dando per scontato che ella sarà capace di prendersi cura di lui/lei e di allevarlo grazie al manuale genetico che la natura le ha fornito, assieme ad un apparato riproduttivo fatto apposta per.
La maternità viene presentata come un destino obbligato, incasellata tra valori rigidi e troppo definiti, stabiliti da una cultura tradizionale. Che dire allora delle difficoltà che spesso la donna incontra nell’adattarsi al suo nuovo ruolo? I ritmi e tempi vengono dettati dal neonato ed ella fa fatica a sintonizzarsi nell’immediato, si sente costretta a rinunce personali incisive e spesso obbligata ad assecondare i bisogni del bambino prima di ogni altra cosa, mentre le sue necessità vengono negate e messe in ombra, per il timore di venir etichettata come “cattiva madre”. Il senso di costrizione e frustrazione che ne può derivare sfocia spesso in sotterfugi o bugie per ritrovare piccoli spazi di libertà. All’estremo, troviamo donne che rifiutano il matrimonio e con esso la maternità, perché consapevoli di non essere libere di esprimere la loro soggettività ed identità all’interno di queste due esperienze di vita.

Allattare è facile. Il latte materno non mancherà e sgorgherà come sorgente di vita dal seno della mamma per il suo bambino. Mastiti, ingorghi mammari, ragadi, bambini che rifiutano il latte o sofferenti di coliche sono tutte ipotesi di poco conto e vengono affrontate in quanto difficoltà, per cui gestite, se e quando si verificheranno durante l’allattamento. Fioriscono come primule i servizi sia pubblici che privati che prevedono il cosidetto “sostegno all’allattamento”, così come nuove professionalità (o vecchie  riesumate) che si recano a domicilio per andare incontro alle neo-mamme ed assisterle nella cura del bimbo, perché le mamme nulla sanno né di allattamento né di neonati. La disgregazione familiare alla quale oramai assistiamo porta la donna a vivere la gravidanza e il puerperio in una quasi totale solitudine, senza sostegno, aiuto e ascolto, a causa della lontananza geografica dalla famiglia d’origine che potrà esserle scarsamente d’aiuto. Sovente anche il partner è indisponibile perché troppo impegnato con l’attività lavorativa o comunque distante dal punto di vista emotivo. Si cerca così di sopperire a questa lacuna socio-familiare con corsi, incontri o servizi ad hoc, e con la formazione di nuovi operatori del settore perinatale che faranno da tappabuchi alla carenza di sostegno che la mamma e il suo bambino necessitano.

Essere madre mi completerà. Perche quest’affermazione??? In questa frase ritorna un campanello angosciante: la donna, con la sua identità, bisogni e desideri scompare, e la necessità di poter ricoprire altri ruoli e di esprimersi attraverso le infinite risorse che possiede viene zittita. In qualità di essere umano, di donna lavoratrice e di soggetto sociale scompare e si appiattisce su di una visione tradizionale che la vuole “esclusivamente” madre perché è nata per esserlo.

“Mi innammorerò subito del mio bambino”, ed anche “non si può provare nulla di negativo per il proprio bambino”, sono entrambe affermazioni che accomuno alla stessa matrice culturale cristalizzata e statica. L’emozione del ritrovarsi fra le braccia un figlio non la si può paragonare al coupe de foudre che ci coglie inatteso davanti alla vetrina del negozio di scarpe preferito dove, incollate col naso al vetro puntiamo il dito contro l’oggetto del nostro desiderio esclamando “Eccole! Le voglio!”. Un figlio, per quanto desiderato e voluto, è anche individuo altro-da-noi, con un suo patrimonio genetico, con sue specificità caratteriali e disposizioni soggettive differenti dalle nostre, sopratutto lontano dal nostro ideale bambino fantasticato durante la gravidanza. Egli/Ella crescerà e diventerà un essere autonomo, indipendente, con le sue idiosincrasie. Sopratutto, il figlio che nascerà sarà per noi e per lungo tempo, un mistero da conoscere ed approfondire sempre più. Ciò non sta a significare che non lo ameremo ma che dovremo imparare ad amarlo, come non abbiamo mai fatto prima con nessun altro essere vivente prima di lui. La relazione a due che si verrà a creare sarà fatta di equilibri e disequilibri, di ricerca di sintonia e incomprensioni ma anche di frustrazione, paura, che rientrano a far parte del sentimento tipico materno, quello dell’ambivalenza (il dubbio contrapposto al sapere certo, paura e timori contrapposti a soddisfazione e felicità).

Non esistono regole pre-confezionate che possano aiutare i futuri genitori ad immaginare e poi gestire ciò che incarnerà con la nascita il mistero della vita, ossia nostro figlio. Madri e padri non si nasce, si diventa, S’impara ad esserlo. A ciascuno il suo percorso, accidentato, in salita eppoi in discesa ma sempre costruito insieme, passo dopo passo col proprio bambino (e con il suo papà).

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Francesca Giovanna Camìsa Parenzan nasce a Milano nel 1973 da genitori pugliesi immigrati in Piemonte, è laureata in Psicologia di Comunità (V.O.), Psicologa abilitata presso l’Ordine Psicologi Piemonte e si è specializzata in qualità di Psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico e gruppoanalitico. Negli ultimi due anni ha intrapreso un percorso inedito di specializzazione in qualità di Esperto in Psicologia e Psicopatologia Perinatale, insieme a Gisella Congia, presso la Società Marcé Italiana per la Salute Mentale Perinatale.
È diventata mamma di Lena Eli nel 2012, momento a partire dal quale il suo interesse professionale è virato sempre più temi che riguardano il genere femminile a 360 gradi, inclusa la genitorialità nei suoi aspetti più complessi e talvolta incompresi.